mercoledì 23 dicembre 2015

Ring the bell, princess!

Lui finlandese, 46 anni, una brillante carriera da scienziato con riconoscimenti intercontinentali, sposato, 4 figli adolescenti. Lei 19 anni e mezzo, iscritta al secondo anno d'università, in disperata ricerca di una camera in affitto. Per telefono, la proprietaria le mise subito in chiaro che la casa era attualmente abitata da uomini ma che a breve sarebbero andati via, che erano persone per bene e che tutti lavoravano per il Consiglio Nazionale delle Ricerche. “Se lei signorina, non ha problemi di coabitare per un mesetto con loro, per me potrebbe trasferirsi anche da domani mattina. Venga questo pomeriggio per vedere la stanza e poi ci pensi un attimo.” Ecco, c'era poco da pensarci... Domani mattina le toccava trasferirsi comunque. O sotto i ponti o in quella casa, l'unica disponibile di una lunga lista di annunci.
Così lei si trovò a coabitare per un mesetto con un cubano, professore universitario di 50 anni che parlava spagnolo, francese e un misto di spagnolo e francese che lui chiamava “il mio italiano,” lo scienziato finlandese che comunicava rigorosamente in inglese e un italiano che comunicava rigorosamente in italiano me che era l'unico a capire la lingua mista del cubano. E in mezzo a questa babele lei, con suo buon livello di inglese per la gioia del finlandese che finalmente aveva in casa qualcuno che lo capiva. “Hai l'età della mia primogenita!” disse subito il finlandese. “Mia figlia è più grande di te!” disse il cubano e cominciarono tutti e due a trattarla come una vera principessa. Le riversavano tutte le attenzione paterne che per forza di cose avevano dovuto sospendere alle loro figlie.
Un giorno lei scese nel seminterrato per togliere il bucato dalla lavatrice. Il finlandese la seguì con un paio di jeans e quattro camicie che mise subito in lavatrice appena lei la liberò dal suo bucato. Poi, si avvicinò a lei che stava stendendo e iniziò a passarle i capi bagnati. “Sai, per tutti gli anni del liceo sono stato innamorato di una mia compagna di classe. Non ebbi il coraggio di parlargliene mai. Poi, lei cambiò città per seguire lo stesso mio corso di studi ma presso un altra università. Ogni tanto avevo notizie di lei tramite vecchi compagni di scuola. Ci laureammo lo stesso periodo. Un paio di anni dopo mi trovai nella città dove viveva per un convegno. Cercai sull'elenco telefonico il suo nome e trovai il suo indirizzo. Ero arrivato in città con un giorno di anticipo. Avremo potuto trascorrere insieme il pomeriggio o la sera. Verso le 5 andai sotto casa sua. Restai un ora davanti al campanello. Forse sarebbe stato meglio se avesi chiamato, forse sarà sposata e la metto in imbarazzo, pensai. Volevo suonare, volevo vederla. Per un paio di volte stavo quasi per suonare ma poi desistevo. L'oggetto dei nostri studi era lo stesso magari avremo parlato di quello. Forse non era nemmeno in casa. Che senso aveva suonarle il campanello. Ma poi, forse non era proprio il caso. Decisi che avrei lasciato al destino il nostro incontro. Sapevo che al convegno era stata invitata pure lei. Se fosse stato destino l'avrei rivista lì, il giorno dopo. Ma lei, il giorno dopo non si presentò. Da lì a poco conobbi mia moglie e formammo la nostra famiglia. Con lei ci rivedemmo dopo 10 anni al funerale di un compagno di classe dai tempi del liceo. Dopo il funerale andammo a prenderci un caffè. Ci raccontammo le nostre vite, le nostre carriere che per gran parte conoscevamo perché anche se a distanza non avevamo mai smesso l'uno di seguire le traccie dell'altra e viceversa. Le chiesi come mai non fosse venuta allora in quel convegno. Divenne rossa e abbassò lo sguardo. Poi sorridendo ammise che quel convegno su argomenti comuni a tutti e due le aveva fatto battere forte il cuore. I giorni prima del convegno aveva visto il mio nome sulla lista degli invitati. Avrebbe voluto contattarmi per e-mail e chiedermi se mi andava di vederci, passare insieme i due giorni. Forse perché non conosceva nessun altro, forse perché voleva rivedermi. Ma alla fine non lo fece. Le confessai che pure io avevo trovato il suo indirizzo e sono stato indeciso, sotto casa sua, per un ora, senza infine trovare il coraggio di suonare il campanello. “Eri a casa?” le chiesi. “Verso le cinque avevo tirato giù mezzo armadio e stavo decidendo cosa mettermi caso mai ti avrei rivisto... Mi odiai per non averti mai inviato la mail, non essermi mai sbilanciata con te. Mi piacevi... Poi mi è venuto mal umore e ho deciso di non andarci al convegno. Non era nemmeno importante, se non per il solo fatto che speravo d'incontrarti, ma senza averti contattato per chiederti se venivi sentivo di aver perso il treno...” Ci siamo goduti il caffè e non ci siamo più rivisti da allora ma credo che ancora ci seguiamo a distanza. Almeno io leggo sempre le sue pubblicazioni, sono sempre a conoscenza dei suoi lavori, dei suoi spostamenti. Mia moglie è una bella persona, abbiamo fatto quattro figli... ho vissuto bene. Però principessa, ricordati: il campanello va suonato! Tu sei ancora piccola, quindi, se ti capita, suona il campanello, mi raccomando!”
Finì il suo racconto porgendole l'ultimo capo da stendere. Dopo qualche giorno partì per Berlino e poi da lì a seguire in altre mete dove lo portarono le sue ricerche scientifiche. Alla principessa arrivò una cartolina dalla città tedesca “Guten tag from Berlin!”

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