Lui finlandese, 46 anni, una brillante carriera da scienziato con
riconoscimenti intercontinentali, sposato, 4 figli adolescenti. Lei 19
anni e mezzo, iscritta al secondo anno d'università, in disperata
ricerca di una camera in affitto. Per telefono, la proprietaria le mise
subito in chiaro che la casa era attualmente abitata da uomini ma che a
breve sarebbero andati via, che erano persone per bene e che tutti
lavoravano per il Consiglio Nazionale delle Ricerche. “Se lei signorina,
non ha problemi di coabitare per un mesetto con loro, per me potrebbe
trasferirsi anche da domani mattina. Venga questo pomeriggio per vedere
la stanza e poi ci pensi un attimo.” Ecco, c'era poco da pensarci...
Domani mattina le toccava trasferirsi comunque. O sotto i ponti o in
quella casa, l'unica disponibile di una lunga lista di annunci.
Così
lei si trovò a coabitare per un mesetto con un cubano, professore
universitario di 50 anni che parlava spagnolo, francese e un misto di
spagnolo e francese che lui chiamava “il mio italiano,” lo scienziato
finlandese che comunicava rigorosamente in inglese e un italiano che
comunicava rigorosamente in italiano me che era l'unico a capire la
lingua mista del cubano. E in mezzo a questa babele lei, con suo buon
livello di inglese per la gioia del finlandese che finalmente aveva in
casa qualcuno che lo capiva. “Hai l'età della mia primogenita!” disse
subito il finlandese. “Mia figlia è più grande di te!” disse il cubano e
cominciarono tutti e due a trattarla come una vera principessa. Le
riversavano tutte le attenzione paterne che per forza di cose avevano
dovuto sospendere alle loro figlie.
Un giorno lei scese nel
seminterrato per togliere il bucato dalla lavatrice. Il finlandese la
seguì con un paio di jeans e quattro camicie che mise subito in
lavatrice appena lei la liberò dal suo bucato. Poi, si avvicinò a lei
che stava stendendo e iniziò a passarle i capi bagnati. “Sai, per tutti
gli anni del liceo sono stato innamorato di una mia compagna di classe.
Non ebbi il coraggio di parlargliene mai. Poi, lei cambiò città per
seguire lo stesso mio corso di studi ma presso un altra università. Ogni
tanto avevo notizie di lei tramite vecchi compagni di scuola. Ci
laureammo lo stesso periodo. Un paio di anni dopo mi trovai nella città
dove viveva per un convegno. Cercai sull'elenco telefonico il suo nome e
trovai il suo indirizzo. Ero arrivato in città con un giorno di
anticipo. Avremo potuto trascorrere insieme il pomeriggio o la sera.
Verso le 5 andai sotto casa sua. Restai un ora davanti al campanello.
Forse sarebbe stato meglio se avesi chiamato, forse sarà sposata e la
metto in imbarazzo, pensai. Volevo suonare, volevo vederla. Per un paio
di volte stavo quasi per suonare ma poi desistevo. L'oggetto dei nostri
studi era lo stesso magari avremo parlato di quello. Forse non era
nemmeno in casa. Che senso aveva suonarle il campanello. Ma poi, forse
non era proprio il caso. Decisi che avrei lasciato al destino il nostro
incontro. Sapevo che al convegno era stata invitata pure lei. Se fosse
stato destino l'avrei rivista lì, il giorno dopo. Ma lei, il giorno dopo
non si presentò. Da lì a poco conobbi mia moglie e formammo la nostra
famiglia. Con lei ci rivedemmo dopo 10 anni al funerale di un compagno
di classe dai tempi del liceo. Dopo il funerale andammo a prenderci un
caffè. Ci raccontammo le nostre vite, le nostre carriere che per gran
parte conoscevamo perché anche se a distanza non avevamo mai smesso
l'uno di seguire le traccie dell'altra e viceversa. Le chiesi come mai
non fosse venuta allora in quel convegno. Divenne rossa e abbassò lo
sguardo. Poi sorridendo ammise che quel convegno su argomenti comuni a
tutti e due le aveva fatto battere forte il cuore. I giorni prima del
convegno aveva visto il mio nome sulla lista degli invitati. Avrebbe
voluto contattarmi per e-mail e chiedermi se mi andava di vederci,
passare insieme i due giorni. Forse perché non conosceva nessun altro,
forse perché voleva rivedermi. Ma alla fine non lo fece. Le confessai
che pure io avevo trovato il suo indirizzo e sono stato indeciso, sotto
casa sua, per un ora, senza infine trovare il coraggio di suonare il
campanello. “Eri a casa?” le chiesi. “Verso le cinque avevo tirato giù
mezzo armadio e stavo decidendo cosa mettermi caso mai ti avrei
rivisto... Mi odiai per non averti mai inviato la mail, non essermi mai
sbilanciata con te. Mi piacevi... Poi mi è venuto mal umore e ho deciso
di non andarci al convegno. Non era nemmeno importante, se non per il
solo fatto che speravo d'incontrarti, ma senza averti contattato per
chiederti se venivi sentivo di aver perso il treno...” Ci siamo goduti
il caffè e non ci siamo più rivisti da allora ma credo che ancora ci
seguiamo a distanza. Almeno io leggo sempre le sue pubblicazioni, sono
sempre a conoscenza dei suoi lavori, dei suoi spostamenti. Mia moglie è
una bella persona, abbiamo fatto quattro figli... ho vissuto bene. Però
principessa, ricordati: il campanello va suonato! Tu sei ancora piccola,
quindi, se ti capita, suona il campanello, mi raccomando!”
Finì il
suo racconto porgendole l'ultimo capo da stendere. Dopo qualche giorno
partì per Berlino e poi da lì a seguire in altre mete dove lo portarono
le sue ricerche scientifiche. Alla principessa arrivò una cartolina
dalla città tedesca “Guten tag from Berlin!”
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