mercoledì 6 gennaio 2016

Vacanze romane

L'ultima volta che abbiamo mangiato insieme di notte, dopo tanti anni, fu nel nostro ultimo incontro di quest'estate. Quel unico incontro che ci concediamo una volta all'anno. Ero venuta a trovarti nel tuo locale, a bere un cocktail con una amica. Verso le due lei, come tutti gli altri clienti se ne andò.
- Rimango ad aiutarti? Ti chiesi.
- No, resta per farmi compagnia. Ti porto io a casa. Mi dicesti mentre sistemavi tutto prima di chiudere.
In un sacchetto hai messo dei minuscoli panini e stuzzichini non venduti che servivano per accompagnare gli aperitivi Hai preso un pezzo di carta e hai scritto sopra “panini puliti” l'hai appiccicato nella busta e mi l'hai data in mano.
- La puoi, per favore andare ad appendere nel palo vicino al cassonetto della spazzatura? C'è sempre più gente che rovista tra l'immondizia in cerca di mangiare. Delle volte non faccio in tempo di chiudere e quando passo da lì il sacchetto è già sparito e se guardi per strada a quest'ora non c'è anima viva. Eppure sparisce.
Uscì per strada. Avevi ragione. Strada del centro storico completamente deserta. Si sentiva qualche tintinnio dei bicchieri che stavi lavando e all'improvviso la tua voce che ruppe la quiete notturna.
- Ti amoooo!
Mannaggia a te! Riuscivi a mettermi in imbarazzo anche dopo vent'anni! Mi guardai intorno nella speranza non fossi la destinataria. Nulla. Non c'era anima viva. Toccava a me risponderti.
Quando hai finalmente abbassato la serranda ti si illuminò il viso:
- Andiamo a mangiare qualcosa?
- Andiamo! Ti dissi, anche se per la verità dovevo essere già a casa. Marito e figli si erano da tanto addormentati senza la mia buonanotte e a me questa mancanza pesava. Sapevo che se ti avessi detto di no, mi avresti portata a casa e poi saresti andato a dormire a digiuno.
Optammo per una pizzetta al taglio che sarebbe stata più veloce. Non volevo deluderti ma io ormai da anni non mangiavo più di notte. E poi il mio organismo faticava a tollerare il grano. Come un tempo iniziasti a imboccarmi con le mani passandomi pezzettini di prosciutto e formaggio fuso. Ma alla fine riuscì a farti smettere di imboccarmi. Appena saziato un po' salimmo sulla tua moto. “Vorrei che fosse una vespa e che la città fosse Roma” Dissi prima di accendere il motore. Come per tutto quello che cercavi di comunicarmi mi ci è voluto tempo a capire che avresti voluto fossi la tua principessa evasa dalla sua “prigionia” per un giorno. Avresti voluto essere Gregory Peck con le braccia di Audrey Hepburn intorno alla tua vita. La brezza dell'alba potenziata dal movimento delle mezzo fece i nostri corpi stringersi forte l'uno contro l'altro.

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